Puzzle n. 9. Abitudini da quarantena

Lo stato attuale delle cose influisce anche su alcune delle attività più quotidiane e abitudini più scontate: fare la spesa, andare a correre e leggere le notizie.

28 mar 2020. Nell’ultimo post ho parlato di com’è lavorare da casa e ho raccontato cose su argomenti vari e sulla vita in quarantena.

Al di là del fatto che penso molto e mi mancano le persone (ancora due delle cose che mi capitano più spesso durante il giorno), non posso fare a meno di notare come lo stato attuale delle cose condizioni anche le attività più ordinarie e le abitudini più scontate del quotidiano.

Se dovessi nominarne alcune su due piedi, direi fare la spesa, andare a correre e leggere le notizie. Ecco come la mia percezione di ognuna di queste è cambiata nelle ultime settimane.

(Tecnicamente ne sono passate due, ma sembra che sia da molto più tempo.)

FARE LA SPESA

Prima della quarantena

17.30 di un giorno in settimana. Spengo il computer al lavoro, mi alzo dalla scrivania e metto il portatile nell’armadietto. In più di un anno ho impilato così tanti foglietti e fascicoli lì dentro. Uno di questi giorni devo fare un po’ d’ordine.

Metto il cappotto, saluto con il solito ‘Ciao ragazzi, a domani’ e vado. Se non mi sbrigo perdo il bus. Corro giù per le scale, passo il badge ed esco.

È ora di punta, il bus è pieno e fa troppo caldo. Riesco a malapena a stare in piedi: la signora dietro di me ha qualcosa di appuntito nella borsa della spesa (dev’essere un cartone del latte). Mi punge proprio nel polpaccio. Sarà un lungo viaggio in bus.

Quando scendo dal bus a Mendlák ho ancora le formiche nella gamba. Attraverso intanto che c’è verde e passo le porte scorrevoli di Albert (il supermercato). Prendo un cestino e vado dritta verso la frutta. Sono rapida a far la spesa, lo so. Sguscio fra i reparti più in fretta che posso, prendo le solite cose dagli scaffali, schivo chi va lento e mi è fra i pied-

Mi fermo di colpo fra i cesti del pane e lo scaffale dei cereali. Ho in mano pane integrale e tofu affumicato. Aspetto che la signora anziana davanti a me avanzi con il suo carrello. Sono di fretta, ma non posso perdere la pazienza: mi ricorda mia nonna.

Dopo un po’ riesco a superare i cesti del pane. Allungo il passo, scanso qualche carrello lungo la via ed evito di proposito i reparti dove so che non mi serve niente. Arrivo ai latticini: ho quasi finito. Prendo il mio yogurt al mirtillo preferito e ne controllo la data di scadenza. Con aria decisa lo metto nel cestino e-

Inchiodo proprio fra i surgelati e gli articoli da bagno. Il bambino davanti a me spinge un carrello pieno tre volte più grande di lui. Solo che lo spinge di traverso, per cui blocca il passaggio. Accorre sua mamma ad aiutarlo. Lei lo sgrida, lui singhiozza. Lei è visibilmente arrabbiata, lui è visibilmente triste. Vado in cassa.

La cassiera che mi serve non è proprio la più amichevole di sempre (inserire eufemismo). Fatico a imbustare la spesa mentre mi lancia le cose una dopo l’altra man mano che le passa. È veloce, ma lo sono anche io. È una gara silenziosa.

Pago, prendo le borse e vado all’uscita. La signora di prima è in piedi davanti allo scaffale del riso. Ne ha un pacco in ogni mano, sembra indecisa su quale prendere.

Mentre aspetto il verde al semaforo, decido di fare la frittata per cena. È buio, Mendlák è affollata. Bus e macchine attraversano la piazza, portandosi dietro uno sciame di fari.

Non vedo l’ora di mangiare. Ho già fame.

In tempo di quarantena

17.30 di un giorno in settimana. Spengo il computer del lavoro, mi alzo dalla sedia della cucina e metto il portatile nella borsa. In quasi tre settimane ho appoggiato diverse cose su quella sedia. Uno di questi giorni devo fare un po’ d’ordine.

Non devo neanche cambiarmi, il supermercato è proprio qui di fronte. Mi lavo le mani con il sapone, mi allaccio la mascherina, prendo le borse della spesa ed esco di casa.

È ora di punta ma, come sempre, in strada non c’è quasi nessuno. Anche i bus sono pochi. Mentre sono ferma al semaforo, noto che la signora accanto a me si sposta un po’ più in là per mantenere le distanze. Sarà una lunga primavera.

Faccio due passi fino a Mendlák. So che ho la faccia stanca. Attraverso intanto che c’è verde e passo le porte scorrevoli di Albert (il supermercato). Prendo un cestino e vado dritta verso la frutta. Sono rapida a far la spesa, lo so. Sguscio fra i reparti più in fretta che posso, prendo le solite cose dagli scaffali, schivo chi va lento e mi è fra i piedi.

Passo accanto ai cesti del pane e allo scaffale dei cereali. Ho in mano pane confezionato e tofu affumicato. Noto che la signora di mezza età davanti a me si aggiusta la mascherina. La tiene dai lati, porta anche i guanti. Mentre la sistema sta attenta a non toccarsi la faccia.

Supero i cesti del pane. Mi prendo il mio tempo e attraverso tutti i reparti. Alcuni li passo anche se so che non mi serve niente. Schivo un carrello abbandonato vicino alle birre e arrivo ai latticini: ho quasi finito. Prendo il mio yogurt al mirtillo preferito e ne controllo la data di scadenza. Con aria decisa lo metto nel cestino.

Inchiodo proprio fra i surgelati e gli articoli da bagno. Mi vibra il telefono. È mia mamma, che mi manda una foto di uno dei gatti di casa. È sdraiato a pancia in su sul divano e mi guarda con aria stranita. ‘Anche lui #staacasa’, dice il messaggio. Le rispondo e vado in cassa. Una cassa è vuota, non devo neanche fare la coda.

La cassiera che mi serve non è proprio la più amichevole di sempre (inserire eufemismo). Fatico a imbustare la spesa mentre mi lancia le cose una dopo l’altra man mano che le passa. È veloce, ma lo sono anche io. È una gara silenziosa.

Pago, prendo le borse e vado all’uscita. La signora di prima è in piedi davanti allo scaffale del riso. Ne ha un pacco in ogni mano, sembra indecisa su quale prendere.

Mentre aspetto il verde al semaforo, decido di fare la frittata per cena. È buio, Mendlák è deserta. Mi passa davanti solo qualche bus. I fari sembrano silhouette di luce.

Non vedo l’ora di mangiare. Ho già fame.

ANDARE A CORRERE

Prima della quarantena

Domenica mattina. Mentre, ancora assonnata, mi vesto per andare a correre, penso: Dove vado oggi? Lungo il fiume fino a Olympia, Jundrov or Přehrada? Magari Wilsonův les? Oppure Medlánky. Non riesco mai a decidere.

Esco di casa e, all’improvviso, lo so. Di solito è un percorso che mi viene in mente sul momento, uno a cui non avevo neanche pensato quando prima cercavo di farmi venire un’idea.

È domenica mattina presto. Mendlák è piacevolmente vuota e silenziosa – che mi fa sempre effetto, perché di solito è affollata e rumorosa a qualsiasi ora del giorno. Mendlák silenziosa è la mia preferita, perché non sono abituata a vederla così.

È domenica, per cui evito di correre vicino a casa. Ovunque io mi trovi, correre di domenica vuol dire perdermi da qualche parte: in campagna, lungo il fiume o nel bosco. Esco e corro. È giusto così. Decido io quanto allontanarmi. Oppure scelgo di fare qualche giro nel bosco su questa o quella collina in città. Non troppi giri di fila, però, altrimenti sembro un criceto sulla ruota.

Di solito incrocio tre categorie umane (e quadrupedi): padroni che portano in giro il cane (o viceversa), diversi ciclisti e altri podisti. Amo la mia routine della domenica mattina. La seguo da così tanti anni che è diventata parte di me. È una sensazione così familiare.

Qua e là incrocio podisti che vanno nella direzione opposta alla mia. Alzo il braccio e li saluto con la mano. I più ricambiano il saluto quasi allo stesso tempo (è il ‘saluto del podista’). Altri sono troppo concentrati sulla corsa per distrarsi. Io li saluto comunque, sia che ricambino il gesto sia che lo ignorino.

Quando incrocio podisti super concentrati, di solito li guardo di sfuggita con la coda dell’occhio. Mi chiedo se anch’io ho lo stesso sguardo concentrato quando corro. Alcuni sembrano così assorti che quasi fanno paura, del tipo che ti danno una sberla se stanno facendo un allungo e tu gli sei fra i piedi.

Sono quasi a casa, per cui cerco di accelerare un minimo, se non sono troppo stanca. Quando sto per arrivare a Mendlák, già so che dovrò fermarmi al semaforo. C’è sempre rosso quando ci arrivo. Potrei prenderla sul personale.

Fermo il cronometro e aspetto. Mentre sono lì sul marciapiede, sposto il peso da un piede all’altro. Sono sempre insofferente a questo semaforo: sembra che il rosso duri un’eternità.

Alla fine la luce diventa verde e riprendo a correre. Attraverso la strada, corro sul marciapiede, lungo il parcheggio e su per le scale, fino alla porta di casa. È stata una bella corsa.

In tempo di quarantena

Domenica mattina. Mentre, ancora assonnata, mi vesto per andare a correre, penso: Dove andrei oggi? Lungo il fiume fino a Olympia, Jundrov or Přehrada? Magari Wilsonův les? Oppure Medlánky. Magari potessi scegliere.

Esco di casa e, ovviamente, lo so. È sempre uno dei soliti due percorsi in croce, e nessuno coincide con quelli a cui pensavo quando cercavo di farmi venire un’idea.

È domenica mattina presto. Mendlák è piacevolmente vuota e silenziosa – ma tant’è, da quando è iniziata la quarantena è più o meno così a qualsiasi ora del giorno. Mendlák silenziosa è la mia preferita, ma non voglio abituarmi troppo a vederla così.

Perfino di domenica mi sono abituata a correre vicino a casa. A Brno non è come in Italia, dove, quando uno va fuori, non può allontanarsi troppo da casa. Qui potrei andare dove voglio, ma in un certo senso mi sembra di violare le regole. Per cui resto in zona. A volte faccio tanti giri attraverso i parcheggi intorno al mio palazzo. Sembro un criceto sulla ruota.

Incrocio pochissime persone lungo la via: qualche padrone che porta in giro il cane (o viceversa), magari un ciclista e qualche podista. Ho sempre amato la mia routine della domenica mattina. La seguo da così tanti anni che è diventata parte di me. In questo periodo, però, non è la stessa cosa.

Se e quando mi imbatto in podisti che vanno nella direzione opposta alla mia, alzo il braccio e li saluto con la mano. I più ricambiano il saluto quasi allo stesso tempo (è il ‘saluto del podista’). Altri sono troppo concentrati sulla corsa per distrarsi. Io li saluto comunque, sia che ricambino il gesto sia che lo ignorino.

Con i podisti super concentrati, di solito li guardo di sfuggita con la coda dell’occhio. Mi chiedo se anch’io ho lo stesso sguardo concentrato quando corro. Alcuni sembrano così assorti che quasi fanno paura, del tipo che ti danno una sberla se stanno facendo un allungo e tu gli sei fra i piedi.

Sono quasi a casa, per cui cerco di accelerare un minimo, se non sono troppo stanca. Ho corso nei parcheggi e dintorni, per cui non devo neanche attraversare al semaforo di Mendlák. C’è sempre rosso quando ci arrivo. Potrei prenderla sul personale.

Guardo il cronometro, faccio l’ultimo giro intorno al parcheggio grande e sono quasi arrivata. Penso che quasi mi manca il solito semaforo: sembra sempre che il rosso duri un’eternità.

Conto a mente i giri che ho fatto e continuo a correre. Passo sotto l’arco e faccio le scale fino alla porta di casa. Nonostante tutto, è stata una bella corsa.

LEGGERE LE NOTIZIE

Prima della quarantena

Mattino. Il caffè è pronto, mi siedo al tavolo della cucina. Mentre faccio per mangiare una cucchiaiata di cereali col latte, guardo distrattamente le notizie. Ho ancora troppo sonno per dedicarmi appieno agli eventi delle 12-24 ore precedenti, ma mi piace sapere cosa succede nel mondo.

Guardo sempre gli stessi giornali online. Accanto alle notizie di finanza e cronaca, i titoli raccontano sempre di qualche tragico avvenimento accaduto la notte prima. Leggo titoli che parlano di UE, Regno Unito, Stati Uniti, Cina, migranti, l’ultimo discorso di Greta Thunberg e cambiamento climatico in generale. Negli oceani c’è ancora troppa plastica.

Va da sé che c’è sempre il solito articolo sul solito politico italiano cretino (che di solito evito, perché lui mi fa innervosire), più pezzi di cultura e gallerie fotografiche. Le photogallery sono fra le mie cose preferite da sempre.

Riesco giusto a scorrere le homepage e, magari, aprire uno o due articoli, quando mi accorgo che ho finito il caffè. Devo prepararmi, altrimenti faccio tardi al lavoro. Non mi va di correre fino alla fermata del bus.

Sera. ho appena finito di cenare. Morivo di fame e ora sono pienissima. Lavo subito i piatti, metto il pigiama e sono pronta per qualche attività serale: un episodio di qualche serie TV, scrivere o leggere.

Appena accendo il computer, però, butto ancora un occhio alle notizie. Non è cambiato molto rispetto a stamattina: i temi sono sempre gli stessi. Guardo i titoli principali e leggo qualche articolo che mi interessa o incuriosisce particolarmente. Apro anche qualche galleria di foto.

Tutto sommato, mi piace. Ci tengo a sapere cosa succede intorno a me.

In tempo di quarantena

Mattino. Il caffè è pronto, mi siedo al tavolo della cucina. Mentre faccio per mangiare una cucchiaiata di cereali col latte, guardo distrattamente le notizie. Ho ancora troppo sonno per dedicarmi appieno agli eventi delle 12-24 ore precedenti, ma mi piace sapere cosa succede nel mondo.

Guardo sempre gli stessi giornali online. I titoli riportano sempre qualche aggiornamento sul Coronavirus legato alla notte prima. Leggo titoli sul Coronavirus in Italia, in altri paesi europei, in Regno Unito, negli Stati Uniti, in Cina e nel resto del mondo. Non c’è molto altro in questo periodo.

Va da sé che c’è sempre il solito articolo su qualche leader mondiale cretino (che guardo sempre, anche se mi fa innervosire), mentre pezzi di cultura e gallerie fotografiche sono relegate in un angolo.

Riesco giusto a scorrere le homepage e, magari, aprire uno o due articoli, quando mi accorgo che ho finito il caffè. Devo prepararmi, altrimenti inizio tardi a lavorare, anche se non devo andare a prendere il bus.

Sera. ho appena finito di cenare. Morivo di fame e ora sono pienissima. Lavo subito i piatti, metto il pigiama e sono pronta per qualche attività serale: un episodio di qualche serie TV (non tanto in questo periodo), scrivere o leggere.

Appena accendo il computer, però, butto ancora un occhio alle notizie. Non è cambiato molto rispetto a stamattina: i temi sono sempre gli stessi. Guardo i titoli e leggo di quarantene, numeri in crescita, tristi record stabiliti da questo o quel paese (con l’Italia ancora in testa).

Davvero, non mi piace, ma voglio comunque sapere cosa succede intorno a me.

GUARDARE IL CIELO

Prima della quarantena

A qualsiasi ora del giorno e qualunque sia il motivo per cui sto uscendo, la prima cosa che faccio appena metto piede fuori da un edificio è guardare il cielo.

In tempo di quarantena

A qualsiasi ora del giorno e qualunque sia il motivo per cui sto uscendo, la prima cosa che faccio appena metto piede fuori da un edificio è guardare il cielo.

Alcune cose, almeno alcune, non sono cambiate affatto.

One Reply to “Puzzle n. 9. Abitudini da quarantena”

  1. Jolanda Bonfanti

    Bel pezzo come sempre. Fa capire come sapremo, spero, apprezzare le solite cose. E tra queste la possibilità di rivederci presto. Mancavi tanto prima della quarantena e manchi ancora di più in tempo di quarantena. Mami

    Reply

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