Islanda 2020 (4/4). Reykjavik: Epilogo

Questo breve-ma-intenso viaggio a Reykjavik ha significato davvero tanto per me, per cui mi perdonerete se mi dilungo su alcune cose e su come mi sono venute in mente. Ho aggiunto qualche episodio buffo per alleggerire il tutto.

 

Parte prima. Discorsi un po’ seri

Arriviamo subito al punto. A parte vedere posti belli e scoprire quel che non si conosce (o si conosce poco), si dice che uno impara sempre qualcosa quando viaggia. Anch’io la penso abbastanza così. Stavolta, però, mi sa che quello che ho imparato non è quello che mi aspettavo. E ci sta.

Mentre gli altri viaggi da sola sono stati interamente votati al vedere posti nuovi, questo ha avuto un duplice effetto. Per metà ho effettivamente visto posti nuovi (e ooh, quanti!). Per metà questo viaggio ha riguardato la mia persona, cosa a cui non sono molto abituata quando sono in giro.

Ha riguardato chi sono ora e come sono cambiata nell’ultimo anno. Alcune parti di me durante questo viaggio erano identiche a quelle che ho imparato a conoscere negli anni: il camminare compulsivo senza mai fermarsi; tenere gli occhi sempre incollati al paesaggio; respirare il mio inverno preferito; andare a cercare la natura.

Mentre camminavo, passeggiavo e correvo per Reykjavik sentivo di essere la stessa persona che era andata a Stavanger, Trondheim, Bodø e Molde. Le priorità erano le stesse – per fortuna.

Reykjavik

Per altri aspetti ho invece percepito il principio di una nuova consapevolezza, una nuova percezione di me stessa. Mi sono resa conto che certe cose che ero non sono più, perché adesso sono altre cose. Non so se mi piace questa cosa. Anzi, da un lato sono sicura che non mi piace, perché amavo alcune delle cose che non sono più. D’altra parte, magari scopro che alcune delle cose che sono adesso non mi dispiacciono troppo.

Non che io possa comunque farci qualcosa. Non è come lamentarsi delle brutte abitudini quotidiane, tipo mangiarsi le unghie o parlare troppo. Qui parlo di qualcosa di più profondo, qualcosa con cui, a un certo punto della vita, tutti devono confrontarsi. (O no?) E, quando te ne rendi conto, puoi solo accettare la cosa, perché adesso sei quella persona.

Di sicuro non mi aspettavo che sarebbe successo così, come se un interruttore venisse acceso nella mia testa, mentre camminavo controvento sulla spiaggia nera vicino al faro di Grótta, nella penisola di Seltjarnarnes.

Grótta

Più tardi, mentre abbozzavo questo post al Kaffivagninn (il ristorante più vecchio di Reykjavik, al Porto Vecchio), mi è tornata in mente una citazione della scrittrice A.L. Kennedy in cui mi sono imbattuta anni fa. Diceva: ‘Se ci allontaniamo dalla vera natura della realtà – che cambia di continuo, e noi con lei – finiamo col perderci in noi stessi, puniti dai nostri problemi e dalle sterili cure [con cui cerchiamo di risolverli].’ Mi sembrava calzante.

Forse cambiare così fa bene, perché se si resiste si finisce col diventare ‘prigionieri’ di se stessi. Ci si trova bloccati dentro se stessi a cercare di essere qualcuno che non si è più. Si smette di funzionare.

Per cui forse è davvero un bene che in Islanda sia successo quel che è successo. Così posso continuare a funzionare. Spero di non essere mai prigioniera di me stessa.

Reykjavik

 

Parte seconda. Curiosità

A livello strettamente personale, ma in toni molto più leggeri, hanno accompagnato il viaggio a Reykjavik alcuni episodi più o meno buffi e qualche record.

Mi rendo conto che al lettore possa non fregare nulla di tutto ciò. Portate pazienza: a volte siamo tutti un pochino egocentrici. Inoltre, visto che non avevo nessuno con cui condividere questi momenti in tempo reale, parlarne qui è un po’ come farsi una risata ‘in compagnia’, anche se un pochino in ritardo.

 

1. Il guanto mancante

Come dicevo nel post precedente, l’ultimo giorno mi sono persa per la via il guanto destro (nuovissimo) mentre andavo a Seltjarnarnes. Alla fine ho messo il sinistro sulla mano destra (che è quella con cui tengo la macchina fotografica, si sarebbe congelata all’istante altrimenti). Sulla sinistra ho prontamente indossato uno dei calzini di scorta (puliti!) che avevo nello zaino. L’ho (circa) agilmente aggiustato perché sembrasse (circa) un guanto. Ero super fiera di me.

 

2. Tutto quel camminare

In tre giorni a Reykjavik ho camminato veramente tanto. Come mai prima. L’ultimo giorno che ero là ho fatto 44,5 km. Quando la sera sono tornata nella mia stanza e ho visto sul mio orologio la distanza percorsa durante la giornata, non ci potevo credere. Che bellezza. Che bello camminare.

Grótta Reykjavik

 

3. Il tour cancellato

Per l’ultimo giorno avevo prenotato un tour del Circolo (o Anello o Cerchio) d’Oro, una strada turistica di circa 300 km che attraversa la zona dell’Islanda a sud di Reykjavik. Il mio tour includeva il geyser Strokkur, la cascata Goðafoss e il Parco Nazionale Þingvellir.

Purtroppo la mattina stessa, proprio mentre stavo uscendo mi è arrivata la mail di cancellazione del mio (e altri) tour a causa dei forti venti previsti nell’arco della giornata.

Non era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere. Alle Isole Faroe il traghetto per Mykines era stato cancellato due giorni di fila per onde alte al largo dell’isola.

Capita che i tour vengano cancellati, anche all’ultimo minuto, soprattutto quando dipendono molto dal tempo. Se il vento è troppo forte, non c’è niente da fare, neanche se uno ci prova. È troppo pericoloso.

Così, quando ho letto la mail, ho tirato fuori la mappa di Reykjavik e ho ri-pianificato la giornata. È grazie a questo imprevisto che sono potuta andare a Kirkjudalur, Laugarnes, Elliðaárdalur e di nuovo a Grótta. Non male, dopotutto.

PS. Va da sé che non dirò nulla del Circolo d’Oro. Vorrei tanto progettare un altro viaggio in Islanda e vedere tutti i posti inclusi nel tour cancellato, per cui non ne parlerò finché non ci sarò stata.

Reykjavik

 

4. Una sciocca macchina fotografica

L’ultimo giorno la mia sciocca macchina fotografica mi ha fatto uno sciocco scherzo. A volte fa cose a caso e sembra che tasti a caso si premano da soli. Di solito me ne accorgo subito. Di solito.

Ero appena tornata da Elliðaárdalur al lungomare. La catena montuosa di Esja era talmente bella che dovevo fotografarla. Clic. niente. Clic. Niente.

Perché.

Premevo, premevo, ma niente. Poi, qualche secondo dopo, ha scattato. Cosa sta succedendo. Scattava in ritardo e non riuscivo a sistemarla.

Dopo un (bel) po’ (ero già arrivata a Seltjarnarnes – sì, so che sono più lenta e stordita della media su certe cose) ho notato che il ritardo dello scatto era sempre lo stesso. La cosa mi ha insospettito.

Faro di Grótta

Faro di Grótta

Guardo nel mirino, controllo le icone sullo schermo e lo vedo. L’autoscatto è impostato sui 10 secondi. Ecco perché la macchina scattava tot secondi dopo il clic.

Ehm, che dire.

È stato bello quando, davanti all’Harpa, mi sono preparata a fare una foto e questa coppia si è fermata per non entrarmi nello scatto. A un certo punto ho percepito la loro perplessità nel vedermi premere per scattare e poi restare lì immobile per altri dieci secondi.

Avranno pensato che non avessi mai fatto una foto in vita mia. E non li biasimo.

 

5. La Grande Assente

No, neanche questa volta ho visto l’aurora boreale. A parte la tempesta di ghiaccio, il vento forte ha portato anche del cielo (circa) sereno durante il giorno. Tre notti di cielo coperto, però, hanno lasciato ben poche speranze di aurora.

Hanno anche lasciato molto all’immaginazione, visto che l’unica opzione era giusto quella: immaginare come sarebbe stato vederla.

Pazienza, un’altra volta. Per ora posso solo dire: Grazie, Reykjavik. Grazie.

Seltjarnarnes

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