Dall’inizio del conflitto in Ucraina orientale, il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha registrato le segnalazioni di persone dichiarate scomparse dai propri cari. Nel settembre 2017 un’installazione-labirinto nel cuore di Kiev ha raccontato alcune di queste storie di vita, ricerca, dolore e speranza.
A Kiev il nostro programma di visita includeva ovviamente la Cattedrale di Santa Sofia, una delle principali chiese di tutta la capitale ucraina.
Mentre ci avvicinavamo alla chiesa, tuttavia, abbiamo notato che proprio lì davanti c’era un ‘labirinto’ tutto fatto di porte scardinate, finestre e ante in legno. A prima vista la struttura poteva ricordare un gioco di strada un po’ buffo a misura di turista, tipo la classica attrazione del labirinto al luna park, con la differenza che quella di Kiev non aveva gli specchi, di solito immancabili in quel genere di gioco, in quanto complica ancora di più la ricerca di una via d’uscita.
L’installazione di Kiev, però, aveva poco o niente a che fare con i parchi divertimenti e molto in comune con la storia recente del paese.
Da quando è iniziato il conflitto armato nell’Ucraina orientale, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) è sempre stato attivo nel paese. Parte integrante della sua missione è registrare le segnalazioni di persone dichiarate scomparse dai propri cari. Membri del Comitato vanno a trovare le famiglie degli scomparsi, parlano con loro e ascoltano le loro storie, storie di vita, ricerca, dolore e tutto quel che ruota attorno a situazioni del genere.
L’installazione in piazza Sofiyska, dal titolo Nessuna notizia, ma non ci credo… (No News, But I Don’t Believe…), era il frutto di tale ‘attività quotidiana’ da parte del Comitato e consentiva di toccare con mano la dolorosa realtà di queste storie, spesso dimenticate o lasciate a margine rispetto agli episodi da prima pagina: i vuoti di memoria, la speranza indebolita dal silenzio, l’assoluta mancanza di certezze.
Il labirinto era una metafora assai potente del limbo fra speranza e disperazione vissuto da chi ha perso una persona cara senza sapere cosa le sia successo. La struttura era interamente realizzata utilizzando pezzi di mobili a caso: porte, finestre e ante in legno. La scelta dei materiali è servita ad avvicinare il visitatore all’oggetto dell’installazione stessa: questi vedeva oggetti che appartenevano anche alla sua vita quotidiana, senza derive astratte o concettuali sull’argomento.
Qua e là nel labirinto erano posizionati piccoli altoparlanti, che riproducevano dichiarazioni di familiari dei dispersi: amici e parenti raccontavano di quando li avevano visti o sentiti l’ultima volta e cosa voleva dire vivere ogni giorno nella logorante attesa di un segno, una traccia, una minima speranza.
Nella struttura del labirinto c’erano anche delle aperture: una finestra senza vetro, una porta con maniglia. Il senso di liberazione presagito da queste, però, era solo illusorio: la finestra era troppo piccola perché si potesse attraversare o si trovava troppo in alto perché ci si potesse arrivare. Così, anche la porta non era una vera porta, ma un asse di legno incollato a quelli adiacenti.
Attraversare il labirinto (cosa che, ovviamente, abbiamo fatto) è stato disorientante, alienante e claustrofobico. Era come sapere dov’eravamo senza però riconoscere lo spazio, che era diverso pur essendo a noi noto. Il fatto era che, come spiegato dalla brochure, mentre il visitatore riusciva a trovare l’uscita, ‘le famiglie degli scomparsi sono intrappolate in un labirinto che diventa parte integrante della loro vita quotidiana e che si ripete ogni giorno nella ricerca di informazioni sulla sorte dei parenti dispersi’.
Noi abbiamo girato il labirinto il 2 settembre e ho sinceramente dato per scontato che l’installazione fosse lì per restare, che fosse un progetto a lungo termine, se non addirittura permanente. Solo poco tempo fa ho scoperto che è invece rimasto esposto per soli dieci giorni, fra il 31 agosto e il 10 settembre, per cui il fatto di averlo visto e visitato mentre esploravamo il centro è stata solo una fortuita coincidenza.
Ci sono rimasta un po’ quando ho letto che il labirinto ha avuto vita così breve. Speravo sarebbe rimasto più a lungo o, ancora meglio, per sempre, perché potesse sempre ricordare a tutti quanto è terribile sparire nel nulla e quanto ugualmente devastante è vivere l’assenza di chi è scomparso.