Riflessioni inattese sulla vita, sulle cose che ci sono e poi non ci sono più e su quelle difficili da cogliere. In un assolato mattino d’inverno al parco.
13 feb 2017. Stamattina intorno alle 11 sono andata dal medico. Sabato scorso non stavo bene e non sono potuta andare al lavoro, quindi oggi dovevo andare a farmi dare il certificato medico perché in ufficio mi segnassero come malattia l’assenza dell’altro giorno.
Ci ho messo cinque minuti buoni a far tutto. Cinque minuti ed ero fuori. Ma era ancora presto, c’era il sole e il cielo era blu, cosa che non succedeva da un sacco. E poi il parco Lužánky era proprio lì dall’altra parte della strada rispetto allo studio medico, quindi è stato fin troppo facile ritrovarmi su uno dei suoi sentieri ghiacciati e scivolosi.
Avevo appena cominciato a camminare, quando mi sono fermata e mi sono voltata a sinistra: quasi per sbaglio avevo notato qualcosa che neanche ricordavo più fosse lì.
Ho visto il prato.
Sì, il prato, quella cosa verde naturale, tipo tappeto, che ricopre il terreno di parchi, aree verdi, eccetera. L’ho vista. Era uno spiazzo vagamente rettangolare, in parte illuminato dal sole e circondato dalla neve ghiacciata brillante.
So che sembra una cosa molto stupida da dire, che ho visto il prato. L’ho pensato anche io quando mi son detta: ‘Oddio, ma quello è il prato, è proprio il prato!’. Ma in realtà non è una cosa da poco. Sì, perché io neanche me lo ricordo quando ho visto il prato l’ultima volta. Questo è il primo prato del 2017. Neanche quello che ho visto a Capodanno vale: quando sono andata a correre a Lužánky quel mattino, il gelo e la foschia facevano sembrare tutto grigio e bianco.
Insomma, stamattina ho visto il prato dopo un sacco di tempo, e questa cosa mi ha fatto pensare a come tutto avesse un aspetto diverso anche se era tecnicamente uguale. Gli alberi erano uguali, il sentiero era uguale e lo erano anche le panchine e la casetta degli uccellini del parco. Solo che non c’era la neve e tanto bastava perché le parti senza neve sembrassero così diverse.
Non avevo mai vissuto in un paese (soprattutto in un paese in cui nevica per davvero) abbastanza a lungo da vedere l’inverno, arrivare, fare la sua parte e poi dare i primi timidi segni di allontanamento. Quando ero in Russia, ho visto l’inverno arrivare e fare la sua parte, ma poi io sono andata via prima di lui, quindi non fa testo. Mi piace il modo in cui la presenza costante della neve diventa un’abitudine che ti fa cogliere i cambiamenti minimi del paesaggio, quando ce ne sono.
Forse sto facendo un discorso senza senso e magari non c’è proprio niente da notare. Dopotutto, è inverno, quindi è ovvio che c’è tanta neve. Poi, quando si scioglie, non c’è più, fine. Grazie tante e bon.
O forse sono io, che semplicemente noto questo genere di cose più di altre, di solito quelle palesi e chiare a tutti, che io invece ci metto parecchio a vedere. Tipo, la prima volta che ho visto il Vecchio Municipio di Brno non avevo assolutamente notato che una delle cuspidi del portale è tutta storta e ricurva. Quando me ne sono accorta (qualche giorno dopo), pensavo fosse stata appena danneggiata e ho detto a Bobby che dovevamo andare a dirlo a qualcuno.
Però invece che le due sciarpe bianche e blu della nostra coinquilina non sono più appese all’attaccapanni vicino all’ingresso, da quando si è trasferita un paio di settimane fa, ecco, quello lo vedo tutti i giorni. Anche Bobby lo nota, lo so. Solo che lei aveva notato subito anche la cosa della cuspide del portale.
Forse a volte ci si mette di più a notare che qualcosa c’è, mentre invece ci si accorge all’istante se qualcosa manca. Forse.