Parco Anthropos è una delle principali aree verdi di Brno. Andiamo a fare una passeggiata nel bianco innevato del parco in un freddo giorno d’inverno.
18 feb 2017. Non lo so perché mi ci è voluto così tanto per scrivere di Anthropos. Dopotutto, Anthropos è uno dei parchi principali di Brno, per cui sarebbe legittimo aspettarsi di sentirne parlare abbastanza presto, soprattutto a proposito di luoghi e siti di interesse in città. Dopotutto, non ci ho messo molto a dilungarmi (anche troppo) su Lužánky e Wilsonův les.
Forse temevo che sarei sembrata prevedibile e ripetitiva a dire quanto sono ‘verdi’ tutti i parchi di Brno. O forse parlare di Anthropos in quei termini è troppo ovvio e scontato per i suoi standard. In ogni caso, dovrebbe essersi capito che questo post non parla dei prati, degli alberi e delle foglie di Anthropos, perché invece parla di una passeggiata attraverso il bianco candido del suo inverno.
Non sapevo neanche che Anthropos esistesse finché, il primo giorno di lavoro, il bus 25 non ha attraversato una zona boschiva che si perdeva a vista d’occhio su entrambi i lati della strada. ‘Woo, e questo cos’è??’, mi sono chiesta, basita. ‘Devo saperlo!’. Mi ci sono poi volute settimane anche solo per pianificare un giro nel parco, più che altro per colpa dei turni e di altri impegni vari. Dopo essere finalmente riuscita ad andarci la prima volta, però, non mi sono più fermata e non mi sono ancora stancata di vagare senza meta per i suoi infiniti sentieri nel bosco. Ma sì, è logico. Che uno ami follemente la natura o vada giusto a farsi un giro all’aperto ogni tanto, Anthropos è una certezza.
Uno degli ingressi principali è proprio dove c’è la fermata del bus, per cui quello è senz’altro un punto di partenza ideale. Superate la statua in pietra dell’uomo preistorico a cavallo (che, fra l’altro, vista da dietro, è veramente, obiettivamente e indubbiamente La Cosa Più Fallica Che Ci Sia – PERCHÉ Brno, perchééé) e, tempo due minuti, sarete inevitabilmente persi nel labirinto di sentieri, stradine e rivoli che rendono Anthropos quello che effettivamente è, ovvero un’oasi di pace non (così) lontano dal centro città.
La prima volta che ci sono andata con l’intenzione di perdermici sono rimasta estasiata da tutto. Ho preso il sentiero che costeggia sulla sinistra il campo da calcio del vecchio stadio (o almeno, quello che credo sia il campo da calcio del vecchio stadio) e, subito dopo, mi sono trovata al primo bivio (di una lunga serie). E adesso?, mi son detta. Okay, vai a sinistra, passa sotto il ponte e… perfetto, un altro bivio. Vai, ancora a sinistra, verso il fiume… le papere, eccoleee. Finalmente. Non avevo ancora visto una singola papera da quando ero arrivata a Brno: è stato un sollievo non dappoco constatare che le papere prosperano anche in Moravia.
Sono andata avanti, sono passata sotto un secondo ponte più piccolo e mi sono trovata davanti un cartello che diceva ‘Památný strom’ (‘Pianta monumentale’, tipo ‘Albero secolare’). Il cartello era proprio accanto a un albero gigantesco, massiccio e probabilmente (di solito) super rigoglioso. Allora sapevo pochissimo dei Památné stromy e di come ce ne siano parecchi in giro per la città (io per ora ne ho visti tre). Mi sono fermata, ho guardato su e ho seguito con lo sguardo uno scoiattolo, che è poi scomparso nei rami più alti verso la cima. Ho proseguito oltre e sono arrivata a un terzo bivio.
Sono rimasta sul sentiero principale, ho superato il Jungle Park (da allora parte integrante della mia lista di cose da fare nel periodo primavera/estate) e sono andata ancora avanti, ma poi ho deciso di tornare indietro, perché alcuni angoli inesplorati me li volevo tenere buoni per andarci una volta di corsa. Così ho seguito un altro, stretto sentiero nel bosco e mi sono trovata davanti a un’ampia radura in cui il silenzio era assordante, attenuato solo in parte dal rumore croccante delle foglie secche che calpestavo mentre risalivo la collina.
Poi è arrivato il vero inverno e, a quel punto, con la neve, Anthropos si è tutto ‘sbiadito’, come quando trovi uno scontrino nella tasca del cappotto, ma è talmente vecchio che non c’è più traccia di inchiostro ed è ormai diventato un foglietto bianco. Era impossibile capire cosa ci fosse sotto la neve: prato, ciottoli, terra o asfalto. Il rumore croccante sotto i piedi c’era ancora, ma era quello della neve: chi le vedeva più le foglie dell’autunno sotto tutto quel bianco. Anche le papere c’erano ancora, ma anziché starsene lì sulla terra, camminavano incerte sulle lastre di ghiaccio che si erano formate ai lati del fiume.
Il silenzio no: quello era sempre lo stesso, ancora assordante e ancora attenuato solo in parte dal rumore della neve. Sì, perché certe cose non dipendono dalle stagioni e, se i colori cambiano sempre, il senso di meraviglia totale vale tutto l’anno.
Dopo aver passato due stagioni ad Anthropos (una e mezza, in realtà, tipo metà autunno e quasi tutto l’inverno), sono arrivata alla conclusione che è come le bambole della matrioska: ti trovi davanti qualcosa di bello, che poi porta a qualcosa (di altrettanto bello), che poi a sua volta porta a qualcosa (di altrettanto bello), e così via. Solo che ad Anthropos sembra di non arrivare mai alla bambola più piccola. Vedrò di continuare a cercarla anche in primavera e in estate, ma non mi aspetto di restare senza sentieri da percorrere.